Quando ho incontrato per la prima volta, di persona, Patrizia Belsito, ho immediatamente fatto la figura della beona deficiente. Avendo coltivato con lei diversi scambi di parole ed idee, virtuali ma vivaci, profondi e stimolanti, avrei voluto presentarmi, alla prima occasione, in una veste fascinosa, quanto meno intelligente. Niente da fare. Mi si para davanti questa donna bellissima, molto alta (difficile impressionarmi, misuro un metro e settantasette), naturalmente elegante, con questo splendido rossetto rosso fuoco. Mi saluta con calore, ed io, non riconoscendola, penso bene di rompere il ghiaccio indicando il suo bellissimo piumino: “Ah! un Belsito! che bello!”. E penso pure di aver fatto un figurone, riconoscendo subito il capo. Discorriamo del piu’ e del meno. Prendo posto sulla mia sedia, guardo nel vuoto per un minuto, e poi mi batto il palmo della mano sulla fronte. Non era solo il piumino ad essere Patrizia Belsito. Troppo bella per essere vera? Quella ERA Patrizia.
Gia’ la seguivo, ho continuato a farlo con ancora maggior convinzione. Patrizia e’ una vera outsider, un architetto del vestito (designer nel senso piu’ puro, dunque), che riconosce come sua missione quella di creare impalcature di tessuti per questi nostri corpi. Un palazzo, sopra un altro palazzo: “la mia è una moda fatta di costruzione e di architettura, io non presento tantissimi modelli ogni stagione perchè ogni singolo modello è costruito ed “inventato” da me. Ci sono studi lunghissimi su ogni capo, che subisce mille modifiche minimali che lo portano alla perfezione, nella sua semplicità, perfezione non solo estetica (che, dal mio punto di vista, si intende raggiunta quando la sua forma è tale da esaltare il fisico femminile, venendo incontro ai suoi naturali punti deboli), ma soprattutto funzionale: io indosso i miei nuovi modelli decine di volte, a cena come a spasso con i miei cani e se il vestito mi blocca un po’ i movimenti, corro subito a casa a fare una modifica.”
Di tutto, faccio risuonare in me il gusto di una struttura di tessuti che esalti cio’ che noi donne di solito tendiamo a comprimere, celare, rinnegare: che siano i fianchi, i seni, le gambe. E che li esalta in maniera armonica, non caricaturale. Il risultato e’ un naturale riaffiorare di cio’ che non solo non possiamo negare, ma che anzi dovremmo esibire con gioia ed orgoglio. Ed apprezzo infinitamente la ricerca continua ed indefessa che Patrizia pone nel rendere i suoi abiti portabili e comodi. Mi rendevo conto, in queste giornate di festa, durante le quali ho avuto la meravigliosa grazia di soggiornare con i miei famigliari in un luogo incantevole dell’Isola d’Elba, che quando si tratta di giocare liberamente con i miei bimbi, ho ben pochi capi da mettere. Molte cose carine nel mio armadio. Pratiche…ben poche. Difficile coniugare l’esigenza estetica con il bisogno di potersi, ogni tanto, stropicciare un po’. L’impegno di Patrizia e’ gia’ un premio. E scopro una nuova affinita’ con la designer: entrambe, soffriamo in forma acuta della malattia del marinario. Sulle spiaggie, di fronte al mare, rifioriamo. E patiamo le peggiori pene nel riavvicinarci alle nostre citta’, coltivando il sogno (proibito?) di una vita fra gabbiani, venti ed onde.
Ad abbracciare tutti questi vestiti, pensieri e desideri, le bellissime, ampie giacche, geometriche, morbide, rassicuranti. Ho un debole per loro, non c’e’ da nasconderlo.
Ho gia’ visto la collezione invernale di Patrizia: come immaginavo, la ragazza continua a crescere, a perfezionarsi, a rendere sempre piu’ evidente la sua missione, e la sua impronta struttural-architettonica. Ma per questo, dovrete aspettare un po': altre parole verranno spese.
Da abbinare con: una passeggiata in piazza San Marco a Venezia, le note di “Don’t let me down” dei Beatles, un sogno nel cassetto, ed un sorriso al pensiero dei desideri gia’ realizzati.
Le foto (che mi sono piaciute assai!) sono di Gabrio Tomelleri: grazie!